Società

Una casa per vivere o per esibirsi?

La domanda che da secoli “rimbalza” senza una risposta definitiva negli studi di architetti e designer di interni

  • 30 aprile, 14:10
  • 15 maggio, 11:40
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Di: Romano Giuffrida

Come un architetto funzionalista, contro ogni orpello inessenziale, Snoopy, il bracchetto dei Peantus, ha dichiarato: «la casa è in cima a una cuccia». Lui non ha bisogno d’altro per sentirsi “a casa”: infatti è soprattutto lì, sul tettuccio della sua casetta di legno, che trascorre le sue giornate meditando profondi pensieri, scrivendo incipit di improbabili libri, sognando iperboliche avventure o chiacchierando con l’amico fidato Woodstock.

Anche se quello della ricerca dell’essenzialità nel abitare e nel concepire la casa è un concetto che arriva da lontano (ad esempio, sir Francis Bacon già nel XVII secolo, da buon filosofo pragmatico, sentenziava: «le case sono costruite per viverci e non per essere rimirate, perciò si privilegi l’utilità all’armonia se non si possono avere entrambe. Si lascino le costruzioni fatte solo per bellezza ai palazzi incantati che i poeti innalzano con poca spesa»), prima di arrivare a quell’architettura funzionalista che, probabilmente a sua insaputa, ha ispirato il modus vivendi di Snoopy, dovrà passare molto tempo.

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Firenze, Palazzo Medici Riccardi (1460), architetto Michelozzo

Per prime sono le élites rinascimentali a concepire la propria casa in termini di rappresentanza sociale e di espressione della personalità del suo proprietario per mezzo di arredi e oggetti. In tutte le principali città europee, a fianco delle abitazioni destinate al popolo e costruite principalmente con tufo, mattoni, calce e legno per i tetti, tra Quattrocento e Cinquecento sorgono così gli eleganti palazzi della nobiltà e della “nuova” borghesia: commercianti e artigiani soprattutto. Alla loro realizzazione vengono chiamati architetti, scultori e artisti come Leon Battista Alberti, Michelozzo, Brunelleschi, Bramante e Raffaello.

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Roma, Salone di Villa Farnesina (1512), arch. Baldassarre Peruzzi

Questi palazzi generalmente venivano concepiti come blocchi unitari in muratura di tre piani distinti: il pianterreno era destinato ai locali di servizio; il primo piano ospitava i saloni di rappresentanza utilizzati per feste e ricevimenti e, in quanto tali, erano curatissimi: pavimentazioni in marmi, alti soffitti in legno intarsiato “a cassettoni” e ampie finestre. Che la funzione principale di questi palazzi fosse l’ostentazione di potere e ricchezza, oltre che da mobilio pregiato, sculture, arazzi, dipinti affidati ai più importanti artisti dell’epoca (Mantegna, Vasari, Pier della Francesca, Michelangelo) che arricchivano gli spazi destinati alle… pubbliche relazioni, è dimostrata anche dal fatto che, generalmente, il secondo piano, quello destinato alla famiglia, fosse caratterizzato da stanze piccole, scomode e scarsamente illuminate da piccole finestrelle. Non è difficile immaginare che ancora più scomode e meno accoglienti fossero le stanze ricavate nel sottotetto e destinate alla servitù (che comunque erano delle piccole “regge” rispetto alle abitazioni dei contadini, le quali erano distribuite nei borghi adiacenti le città, composte di una sola stanza bassa, mal illuminata e mal areata, con muri di terra e tetti di paglia, nelle quali non era raro che convivessero umani e animali).

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Mappa di Milano nel 1600 (circa)

La città diviene sempre più un elemento di forte attrazione per chi intravvede in essa la possibilità di abbandonare la campagna e la vita “grama” che là si conduce.

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Venezia, Ca’ Pesaro (1710), arch. Baldassarre Longhena

Così, tra Seicento e Settecento, si assiste all’estensione dello spazio urbano con sempre più marcata separazione tra le classi sociali (una sorta di gentrification che ridisegna la città in base al ceto). Gli edifici della nobiltà e dei possidenti, con il linguaggio barocco che si afferma e che è caratterizzato dalla sovrabbondanza di decorazioni e giochi prospettici, diventano sempre più sfarzosi e scenografici. Parallelamente, gli spazi urbani antistanti, vengono ricostruiti quasi fossero quinte teatrali. Maestro indiscusso di questa filosofia architettonica è Gian Lorenzo Bernini. Contestualmente si sviluppano i quartieri destinati alla borghesia, riconoscibili dai palazzi che delineano i corsi che convergono sulle piazze “nobiliari”. Nello stesso periodo vengono costruiti i primi quartieri popolari: naturalmente, già allora, riconoscibili dai casamenti a più piani, realizzati con materiali scadenti, in aree generalmente “abbandonate a sé stesse”, con strade di fango, sporcizia e condizioni sanitarie spaventose.

La casa borghese è diventata definitivamente «la casa della vita», come chiamò la propria dimora lo scrittore e saggista Mario Praz, ossia quel luogo in cui l’individuo esibisce la sua unicità. Si alterneranno gli stili: dal settecentesco Rococò alla maestosità neoclassica dello stile Impero del XIX secolo al Liberty e allo Jugendstil che portano alla massima espressione il gusto della decorazione e dell’affastellamento di oggetti.

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La Prioria, Gardone Riviera

Per farsi un’idea di cosa potesse significare la miscellanea di oggetti in un appartamento dell’epoca, basterebbe visitare la Prioria ossia la casa che, dal 1921 al 1938, Gabriele D’Annunzio elesse a proprio “inimitabile” rifugio all’interno del Vittoriale degli italiani a Gardone Riviera e che divenne il modello abitativo per tutti coloro che individuavano nel Vate l’influencer dell’epoca. Nelle abitazioni dei possidenti (o aspiranti tali), si accatastano così opere d’arte, porcellane, quadri, libri, ninnoli e altre decine di oggetti disposti senza soluzione di continuità; un guazzabuglio, certamente, ma rispondente all’imperativo: mettere in mostra la propria individualità.

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La Prioria, Gardone Riviera

Per quanto riguarda invece il gusto della decorazione, chi volesse comprendere a cosa ci si riferisca, è sufficiente richiamare alla mente un solo nome: Antoni Gaudì, l’immaginifico architetto catalano che, a cavallo tra ‘800 e ‘900, a Barcellona, fu creatore di palazzi nei quali l’espressività estetica era spinta al massimo delle proprie possibilità senza, nel contempo, rinunciare alla minima funzionalità degli spazi abitativi. Un maestro, indubbiamente, ma quell’epoca estetizzante, come una torta di panna troppo dolce, aveva stancato. Era arrivato il XX secolo, il tempo del trionfo della funzione sull’ornamento.

La Sagrada Familia sarà completata

Telegiornale 08.06.2019, 22:00

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